La sindrome metabolica, o sindrome da insulino-resistenza, è caratterizzata da una combinazione di diversi fattori di rischio che comportano l’insorgere di svariate patologie. La diffusione di tale condizione nel nostro paese è allarmante ed è strettamente collegata all’aumento del sovrappeso e dell’obesità già a partire dall’età infantile. Le cause principali per lo sviluppo della sindrome metabolica, oltre ad una predisposizione genetica, sono da imputare, quindi, a cattive abitudini alimentari unite ad un’assente attività fisica.
I parametri clinici per diagnosticarla sono diversi e un soggetto può ritenersi affetto da sindrome metabolica se si vengono a sovrapporre al già presente aumento della circonferenza vita (superiore ad 88 per le donne e 102 per gli uomini), almeno altri 2 dei seguenti parametri:
- Valori superiori a 110 mg/dl della glicemia a digiuno
- Valori di trigliceridi superiori a 150 mg/dl
- Colesterolo HDL inferiore a 40 mg/dl per le donne e 50 ml/dl per gli uomini.
- Aumento della pressione arteriosa (con pressione sistolica maggiore di 130 mmHg e diastolica superiore a 85 mmHg)
In realtà, presi singolarmente, tali parametri non risultano particolarmente alterati, ma l’unione di tre o più valori leggermente mutato è piuttosto grave: questo ci deve portare a considerare che lo stile di vita della maggior parte della popolazione è totalmente errato e che l’incremento del peso corporeo non è valutato come grave, in particolare se non associato ad un’alterazione dei parametri biochimici. In realtà, anche se l’organo adiposo non è da considerare totalmente in negativo (esso ha infatti diverse funzioni fondamentali: strutturali, di termoregolazione, protettive ed energetiche), il problema viene a porsi nel momento in cui si presenta un eccessivo aumento di accumulo di grasso, in particolar modo a livello viscerale che è strettamente correlato allo sviluppo di patologie cardiovascolari e di diabete di tipo II. Il grasso, infatti, non è tutto uguale, ma deve essere suddiviso in grasso sottocutaneo e viscerale. Quest’ultimo libera una serie di fattori di infiammazione che interferiscono con la sensibilità insulinica, questo perché il grasso viscerale risponde agli stimoli lipolitici, liberando acidi grassi che vengono indirizzati al fegato, alimentando la sintesi di trigliceridi e inducendo la sintesi delle VLDL che vanno in periferia e inducono il ciclo di competizione glucosio-acidi grassi. Alti livelli di acidi grassi alterano, quindi, il metabolismo del glucosio danneggiando il funzionamento delle beta cellule in quanto viene a mancare l’effetto antilipolitico dell’insulina, determinando l’insorgere dell’insulino-resistenza.
Come possiamo combattere il manifestarsi dei diversi fattori di rischio?
La risposta è sempre: IL CAMBIAMENTO DELLO STILE DI VITA.
Questo significa mettere in atto un cambiamento totale sia per quanto riguarda le abitudini alimentare che per l’attività fisica. La sindrome metabolica, infatti, è innanzi tutto il risultato di un introito eccessivo di energia rispetto alle reali necessità che comporta una variazione dei parametri metabolici. Agendo alla base, si può quindi, risolvere la problematica. Bisogna operare su due diversi livelli: la riduzione dell’introito calorico e l’aumento dell’attività fisica, in modo che l’energia assunta sia minore rispetto a quella consumata (bilancio energetico negativo). Per quanto riguarda la nutrizione dobbiamo considerare sia la quantità che la qualità degli alimenti. Abbiamo detto che la dieta deve essere ipocalorica, infatti solo chi assume meno calorie di quanto ne consuma può dimagrire. ATTENZIONE! Diete drastiche o con “bibitoni magici” che comportano una perdita troppo rapida di chili, possono essere controproducenti in quanto non si riescono a conservare i risultati per lungo tempo, si riacquista peso corporeo e si va incontro all’effetto yo-yo con ulteriore perdita di massa magra a favore della massa grassa. E’ preferibile apportare leggeri cambiamenti e dare il tempo al corpo e alla persona di abituarsi, in modo da mantenere uno stile alimentare positivo per il resto della vita. Oltre alla quantità degli alimenti, va variata anche la qualità di quest’ultimi:
I carboidrati (che devono essere circa il 45% dell’energia giornaliera totale) devono provenire principalmente da fonti naturali, ricchi di vitamine, minerali e fibre che favoriscono il senso di sazietà, piuttosto che da prodotti industriali ricchi di zuccheri semplici che comportano un aumento dell’insulinoresistenza.
I lipidi (20-25% dell’energia totale) sono suddivisi in acidi grassi saturi e insaturi a seconda della presenza o meno dei doppi legami tra gli atomi. Da preferire sono sicuramente gli acidi grassi mono-insaturi e poliinsaturi che apportano benefici per quanto riguarda il contenuto di colesterolo nell’organismo.
La proteine devono, invece, rappresentare il 15-20 % dell’energia totale e possono provenire da fonti di origine animale e vegetale. Quest’ultime sono da preferire in quanto le proteine derivanti da animali sono spesso associate a elevati contenuti di acidi grassi saturi, tuttavia, per il contenuto diverso di amminoacidi, carne, pesce, uova e latticini non sono assolutamente da evitare.
E lo sport?
La sola alimentazione non può essere sufficiente per mantenere un corretto stile di vita, essa deve sempre essere associata ad un’adeguata attività fisica. Oltre al metabolismo basale (che dipende da età, peso, sesso, altezza e massa muscolare e rappresenta il dispendio energetico che permette al corpo di svolgere le sue funzioni basilari) è l’attività fisica che ci permette di aumentare il consumo di energia che deve essere valutato in base all’intensità dell’esercizio. Come l’attività fisica può apportare benefici?
Aumentare il dispendio energetico giornaliero comporta:
- Una riduzione dei depositi di grasso, in particolare modo a livello viscerale
- Un aumento della massa muscolare, che determina a sua volta un aumento del metabolismo basale con ulteriore consumo di energia. Inoltre, l’aumento del muscolo determina un miglioramento
dell’insulino-sensibilità con una normalizzazione della glicemia e una riduzione del rischio di
sviluppare diabete mellito - Un abbassamento della resistenza dei vasi sanguigni, con conseguente miglioramento della pressione arteriosa
- Riduzione dei trigliceridi del sangue e del colesterolo LDL con aumento del colesterolo HDL
Attenzione!
In caso di uso di farmaci per l’ipertensione o per l’iperglicemia è necessario rivederne le dosi con il proprio medico curante nel momento in cui si inizia a praticare sport.
L’attività fisica è, quindi, a tutti gli effetti una medicina e unita ad un’adeguata alimentazione può allungare e migliorare la vita. Prevenire è decisamente meglio che curare!