Il vero padrone del centro fitness è l’istruttore (o Personal Trainer). Vi fa sudare, sollevare pesi, contorcere, con l’obiettivo di una migliore forma psicofisica ed estetica. Ma chi è questa figura cui affidiamo il nostro corpo e soprattutto, che grado di preparazione possiede?
La legislazione italiana non prevede una regolamentazione di questo mestiere e quindi, alla luce di ciò, chiunque può improvvisarsi istruttore. Sta unicamente al buon senso del gestore o del direttore tecnico della palestra la scelta delle figure professionali a cui affidare i propri utenti. Spesso, purtroppo, è sufficiente avere un discreto fisico, personalità e sorriso ammiccante, che il successo in sala pesi è assicurato. “Se è stato capace di costruirsi il fisico, sarà in grado anche di insegnarci ogni segreto della cultura fisica!” è il pensare comune.
Equivale a sostenere che chiunque goda di buona salute potrebbe fare il medico! Se poi si ha la fortuna di allenare le soubrette o il giornalista di grido, il gioco è fatto, si è subito esaltati dai mass media come il miglior trainer in circolazione, magari senza uno straccio di certificazione.
Così in qualsiasi palestra italiana, potremo trovare a lavorare fianco a fianco, il laureato in Scienze Motorie (o diplomato ISEF), l’istruttore “certificato” che ha seguito i corsi delle varie organizzazioni più o meno autorevoli o accreditate, il vigile urbano o l’ex pugile. Massimo rispetto per tutte le categorie, ma risulta ovvio che queste figure così variegate potrebbero avere una formazione differente e idee diverse sulla proposta d’esercizi o metodologie d’allenamento, mettendo in difficoltà l’utente delle palestre che un giorno impara l’esecuzione di un esercizio e il giorno dopo gli viene spiegato l’esatto contrario.
Esiste poi la categoria degli utenti che dopo anni di frequentazione della palestra e dopo aver letto qualche rivista dedicata ai “culturisti”, ritengono di possedere tutte le verità sull’allenamento e si sentono in dovere di divulgarle, contribuendo ad arricchire la già nutrita varietà di metodi e di esercizi.
Questo sistema ha portato a una lunga serie di credenze e di esecuzioni ormai entrate nella “tradizione” dell’allenamento in palestra e per questo dure a morire, nonostante i tentativi degli istruttori preparati a dissuadere da certe tecniche con spiegazioni adeguate e proposte alternative.Tecniche che molto spesso non fanno raggiungere gli obiettivi prefissati, o lo fanno in tempi maggiori rispetto ad esercizi adeguati e che in molti casi possono addirittura provocare dei danni.
Vediamo alcuni esempi:
Addominali
Per allenare questa muscolatura esistono un’infinità di esercizi estremamente fantasiosi e pittoreschi. Innanzi tutto bisogna sottolineare che non esistono “addominali bassi” e “addominali alti”. Il muscolo in questione, il retto addominale, è unico, parte dallo sterno e termina nella zona pelvica. Per allenarlo efficacemente, bisogna avvicinare la cassa toracica al bacino o viceversa, tutto il resto è fumo negli occhi. Eppure continuiamo a vedere slanci delle gambe tese o semiflesse, con grandi gradi di escursione, a terra sulle panche o alle parallele, sempre eseguiti ad alta velocità. In questo modo gli addominali si contraggono staticamente per stabilizzare il tronco, in maniera non significativa. Il muscolo che effettivamente lavora in questi casi è lo psoas (che collega il femore con le vertebre lombari). Allontanando le cosce dal busto, questo muscolo eserciterà una trazione sulla colonna lombare “invitandola” ad inarcarsi, e maggiore sarà quest’effetto quanto più alta è la velocità d’esecuzione e il grado di distensione delle gambe. Risultato finale? Allenamento inutile per gli addominali e forti probabilità di mal di schiena. Per utilizzare le gambe nell’allenamento degli addominali, bisogna che queste siano totalmente flesse, e bisogna chiudere l’angolo coscia-busto in modo che il bacino si sollevi in retroversione, avvicinando la zona pelvica alla cassa toracica, attivando quindi una contrazione “attiva” del retto, come dicevamo prima. Il tutto con un escursione limitata e a velocità controllata. Un altro esercizio base è il Sit up, che prevede, dalla posizione supina con le gambe piegate, il sollevamento del busto sino alla posizione seduta. Se quest’azione risulta impraticabile, significa che la schiena è poco mobile e oppone una grande resistenza al movimento, oppure che la muscolatura è carente nella forza. Nel primo caso occorrerà lavorare sulla mobilità della colonna, nel secondo, sono più indicati i Crunches, movimenti brevi delle spalle con massima contrazione del retto addominale. E’ assolutamente inutile vincolare i piedi, perché ciò mette in azione lo psoas (ancora lui!) e il retto femorale, senza incidere significativamente sugli addominali. Tale modalità va applicata solo sulla panca inclinata, per evitare il ribaltamento all’indietro, ma è riservata solo agli utenti più allenati ed esperti, che sono cioè in grado di concentrarsi sul lavoro addominale evitando “aiuti” da altri muscoli.
Torsioni con bastone
Vuoi eliminare le maniglie dell’amore? 1000 torsioni del busto con il bastone appoggiato sulle spalle! Questo esercizio, eseguito normalmente ad alta velocità, va ad agire unicamente sulla componente elastica del muscolo, non su quella connettivale, con il risultato di un lavoro “reale” vicino allo zero, ma con forti sollecitazioni negative alle fibre muscolari e alla colonna vertebrale. Senza dimenticare che allenando un solo muscolo non si elimina il grasso localizzato su di esso, per farlo occorre un lavoro muscolare e cardiovascolare globale. Se poi l’obiettivo delle torsioni è quello di mobilizzare la colonna, occorre ricordare che il tratto lombare è il meno mobile del rachide e risulta quindi inutile forzarlo, mentre per migliorare la “distensibilità” muscolare il movimento non va mai eseguito in rapida alternanza, sfruttando l’inerzia, ma deve essere controllato e graduale.
Lat Machine dietro
Le trazioni al Lat Machine sono considerate l’esercizio principale, specie per i neofiti, per allenare il gran dorsale. Molti colleghi “vendono” l’esecuzione con la sbarra portata dietro la testa, con l’esigenza di isolare meglio il muscolo in questione. Peccato che per portare la sbarra sino all’altezza del trapezio, quasi tutti sono costretti a flettere il collo in avanti assumendo una postura fortemente scorretta, inducendo forti tensioni in tutta la regione del collo e delle spalle. E allenando a lungo la muscolatura su una postura scorretta, è molto probabile che questa venga mantenuta anche a riposo, con gli effetti che tutti possono immaginare. Inoltre, anche chi possiede un’invidiabile mobilità di spalle e riesce ad eseguire correttamente l’esercizio, sollecita fortemente tendini, legamenti e capsula articolare, con buone probabilità di lesioni o infiammazioni. Per un’esecuzione corretta e sicura, l’asta va portata davanti alla testa, sino al petto, con un impugnatura delle mani di poco più larga delle spalle e con i gomiti che si adducono, si avvicinano cioè al tronco in direzione posteriore, coinvolgendo in maniera ottimale il gran dorsale.
Stacchi da terra a gambe tese
E’ sempre più frequente leggere articoli di ortopedici, fisioterapisti o esperti della rieducazione che prescrivono, per la prevenzione del mal di schiena, di sollevare pesi da terra piegando le gambe. Chissà perché in palestra, che dovrebbe rappresentare il tempio della salute e del benessere, viene indicato l’esatto contrario, di sollevare cioè un bilanciere da terra con le gambe tese. Questo esercizio, spesso consigliato alle donne per la tonificazione dei glutei, comporta un altissimo carico sulle vertebre lombari, anche con pesi leggeri, ponendo inoltre in stiramento la parete posteriore del ginocchio. Se proprio vogliamo eseguire questo esercizio (ma esistono delle valide alternative), le gambe dovranno essere piegate nella prima parte del movimento per poi distendersi nella fase finale, in alto. La schiena va sempre mantenuta dritta. E’ inoltre inutile e pericoloso l’intero raggio di movimento, arrivando sino a terra o, come propone qualcuno, salendo addirittura su un rialzo per aumentare l’escursione. Il rischio connesso a quest’azione è superiore ai benefici apportati alla muscolatura in questione.
Flessioni o piegamenti?
In questo caso non è l’esercizio in discussione, bensì la sua denominazione. L’esercizio a corpo libero più classico, quello esaltato dai bagnini di Bay Watch o dalla serie di Rocky, che consiste nella spinta delle braccia per sollevare il corpo dalla posizione prona, è comunemente ed universalmente chiamato “flessioni”. Esiste una terminologia tecnica che tutti gli istruttori dovrebbero conoscere, per divulgarla con i propri allievi ed evitare fraintendimenti o equivoci. E questa terminologia prescrive che se l’arto si trova in appoggio (a terra o su un attrezzo) l’azione si chiama “piegamento”. La flessione è l’azione determinata da un arto libero, come portare la mano a toccare la spalla flettendo (appunto) il gomito. Se le mani appoggiano a terra, come in questo esercizio, le braccia eseguono un piegamento! Quindi l’esercizio in questione sarà chiamato PIEGAMENTI (sulle braccia), non flessioni! Cerchiamo di ricordarlo tutti.